Il massacro delle matite e non solo

11.01.2015 16:14

La morte di Francesco Rosi, il grande maestro del cinema vero, è avvenuta una manciata di ore dopo le feroci esecuzioni di Parigi e la  guerriglia urbana che ne è tragicamente derivata. La grande lezione di Rosi era quella di non limitarsi a scivolare sulle superfici degli accadimenti, nè di mettere in caricatura le contrapposizioni sociali che maturavano sulle contraddizioni di un Paese alla ricerca di una difficile identità comune. Non solo Far West, insomma, ma anche lettura delle sue cause, dove spesso si scorgevano gli errori, le sottovalutazioni e le clamorose omissioni di una classe dirigente spesso inadeguata al rischio sociale della complessità. Una complessità spesso globale, disegnata magistralmente nel film su Enrico Mattei, in cui già prevalevano da un lato la tendenza alla mistica degli "ismi", dall'altro lato la fuga in avanti di uomini sostanzialmente soli nel tentativo di dominarla. E per far questo, circostanza poi acclaratasi con Tangentopoli, la circolazione indiscriminata del denaro pubblico per ungere e portare il soggetto potenzialmente più forte sulla propria posizione, diventava una inconfessabile, ma necessaria prassi di governo. Al di là dei buoni fini che il politico/mediatore d'affari si sarebbe prefisso, tipo ad esempio l'approvvigionamento democratico della risorsa energetica contro il monopolio dei pozzi praticato dalle multinazionali americane. In Rosi viveva indubbiamente la passione del "documento" che portava con sè la foto di famiglia di un Paese per molti aspetti simile a quello che stiamo vivendo. Un Paese alla ricerca di una "nuova crescita", dove però ogni area del Paese, differentemente dagli anni 60/70, sconta le contraddizioni delle sue periferie urbane, delle proprie banlieu, del proprio irriducibile Mezzogiorno dove oggi, come in Francia e Germania, si giocano marginalità e conflitti tanto quotidiani quanto globali. E per questo difficilmente governabili. L'Europa che chiede "le riforme" e forse non a caso soffre di depressione economica (la deflazione) per carenza complessiva di domanda, è sostanzialmente la stessa che appare cosi  vulnerabile e impotente, anche sul piano della prevenzione dei fenomeni criminogeni, di fronte alla esportazione urbana di una "guerra" attuata dai martiri di Allah, ma finanziata ed eterodiretta in mille rivoli del cosiddetto mondo industrializzato. La ricetta renziana delle"ruspe" e del cambiamento di verso, strumentalmente basata sull'innesco dell'invidia sociale tra non garantiti e presunti garantiti, in realtà titolari di diritti, è benzina sul fuoco di squilibri che la debole Europa di oggi non riesce più a governare. E non si esce da una crisi che i principi del terrore vorrebbero strumentalizzare solo con una maggiore ricchezza individuale. I media ufficiali non se ne accorgono e preferiscono raccontare versioni di comodo. O megafonare un premier  (il principe di Rignano) che con voce stridula e tonitruante parla di "attentato" all'identità europea, mentre le nostre città vivono di commerci, filiere economiche e reti di comunicazioni condotti armoniosamente da "musulmani compatibili" cui magari si chiedono i voti alle primarie "aperte". Un regista come Francesco Rosi si sarebbe posto semmai domande sulle troppe falle che i servizi di intelligence francesi hanno dimostrato nell'occasione. E sulla libera circolazione delle cosiddette cellule del terrore. E per quale motivo la sede di un giornale così esposto alle rappresaglie del terrore non fosse stato evacuato per tempo. Occorre tornare a farci delle domande, non possiamo delegare tutto alla satira che oggi viene massacrata per l'acuminata leggerezza delle proprie caricature.