Voto toscano, l'irrilevanza della partecipazione.

29.05.2015 16:42

L'ETERNO PRESENTE DELLA DOLCE TOSCANA 

La Toscana vota, ma in fondo chi se ne importa. Questo è l'adagio su cui si potrebbero spegnere anzitempo gli antichi entusiasmi della Regione Toscana e organismi (e professori) collegati verso ogni forma, anche la più capillare, di partecipazione politica. In tempi passati, ma non poi così tanto, fu varata una Legge Regionale di un certo interesse (quella sulla "Partecipazione", appunto) che avrebbe dovuto moderare il decisionismo degli amministratori rispetto alla progettazione e alla costruzione di Grandi Opere invasive  in un territorio per sua natura costiero, vallonato e a forte rischio idrogeologico. Per stessa ammissione del suo ispiratore, il Prof. Massimo Morisi, quella Legge è stata sistematicamente boicottata e più volte sacrificata sull'altare della politica "del fare". In ballo ci sono cosette da niente come il prolungamento della pista dell'aeroporto di Peretola e il sottoattraversamento fiorentino della Tav, tutti interventi che hanno subito una impressionante accelerazione grazie alla mediazione culturale e finanziaria (si fa per dire) del governo Renzi. Ma in ballo ci sono anche, per analogia, lo stesso "raddoppio" dell'Aereoporto fiorentino, l'annuncio più volte rinviato dei cantieri autostradali della Tirrenica e gli affabulatori finanziamenti regionali alla Maxi Darsena Europa di Livorno, su cui Enrico Rossi ha agito facendo un abile gioco di squadra con il Commissario del Porto di Livorno, l'inamovibile avvocato genovese Giuliano Gallanti, e la cortese collaborazione mediatica de "Il Tirreno" di Livorno.. 

 

IL DOPPIO BINARIO DI ROSSI

Enrico Rossi, che su Facebook ha lanciato campagne umanitarie a favore dei derelitti e degli emarginati tanto per salvaguardare un lembo della sua cultura di provenienza e ipotecare così la gestione politica di un pezzo importante di spesa pubblica, ha cercato di costruire su questo doppio binario la sua "nuova candidatura", mettendosi perfettamente in linea peraltro con il  sentimento  di quella parte di popolazione che si accontenta di "vedere i fatti" senza doversi per questo assumere la responsabilità di una partecipazione "di controllo" sugli atti di governo o di una verifica preventiva sul profilo etico di una candidatura.

 

LA NEUTRALIZZAZIONE DELLA POLITICA DA OGNI IPOTESI GIUDIZIARIA

E', in fondo, la stessa deriva di ritorno che suggerisce all'amministratore indagato (come nel caso dello stesso Rossi per le vicende del buco dell'Asl di Massa) o addirittura condannato in primo grado (come nel caso di De Luca in Campania per la vicenda legata all'autorizzazione ambientale di un termovalorizzatore) di tagliare con un tweet il burro imbarazzante dell'inopportunità a ripresentarsi in campo mentre è in essere una complessa vicenda giudiziaria che lo riguarda. E che potrebbe determinarne, come hanno deliberato le Sezioni Civili Unite di Cassazione a proposito dell'applicazione della Legge Severino, l'automatica decadenza dalla funzione elettiva in caso di sopravvenuto pronunciamento di una condanna penale. Salvo ovviamente un intervento riparatore e dilatorio del Governo (come potrebbe avvenire per De Luca, già condannato e poi rimesso al suo posto dal Tar, incompetente però a decidere) che porterebbe all'ennesimo grado (e in forme eversive) il conflitto fra la politica politicante e la giurisdizione ordinaria.

 

LA PUREZZA DELL'INVESTITURA POPOLARE.

Ciò che rileva, per questo tipo di filosofia, è in sostanza l'investitura popolare. Un'investitura "riabilitatrice" che rievoca quel passaggio craxiano secondo il quale la dimensione politica sarebbe per sua natura immune da responsabilità penale. E non importa che l'investitura venga da primarie "aperte a tutti" (dunque anche ai criminali oltreché ai non aventi diritto al voto in una consultazione  politico e/o amministrativa) o da elezioni in cui a farla da padrone sarà con tutta probabilità l'"evitamento" delle urne. Un riflesso quasi condizionato per consentire al candidato Governatore più organizzato di raggiungere il massimo risultato (cioè la vittoria "asfaltatrice" per dirla con Renzi) con il minimo sforzo (cioè al punto più basso di consenso reale nella Regione di riferimento). Anche l'astensione insomma, in questo contesto, e per paradosso, può diventare funzione di governo, sia pure con effetto differito. Specie quando si tratti di autorizzare Grandi Opere o selezionare spesa pubblica.