Scuola, una questione di rispetto - di Simonetta Filippi

09.06.2015 09:23

Metà anni '70, io, diplomata all'Istituto Magistrale a Giugno, a Maggio dell'anno dopo vengo chiamata per i miei primi tre giorni di supplenza. Capelli corti, salopette in jeans, mi presento al Direttore di una delle scuole elementari più malfamate della città (ma anch'io sono cresciuta qui, dentro queste strade e questi cortili). Lui mi guarda e sorride:

-Signorina, mi creda, la supplenza è in una quinta difficile, ci sono molti ripetenti, ragazzi grandi, situazioni particolari... lei è giovane, sono solo tre giorni, il maestro della classe rientrerà sicuramente... la richiameremo, non si preoccupi...

E me la ricordo la scuola e la mia voglia di riscatto: potente, razionale e indistruttibile come la mia  determinazione e la convinzione che avrei insegnato a PENSARE per capire e diventare forti, per riuscire a dire NO. Il primo anno, in una materna comunale ero "tirocinante volontaria", non guadagnavo niente, ma alla fine dell'anno scolastico avrei avuto un certo punteggio per "salire" in graduatoria. Una mattina la direttrice chiese se qualcuna di noi voleva fare delle ore di straordinario, pagate, naturalmente. Io dissi di sì, non vedevo l'ora di portare soldi a casa. La direttrice mi chiamò dicendomi di raggiungerla in ufficio che doveva parlarmi. E mi parlò delle lotte dei lavoratori, degli scioperi, delle manifestazioni per raggiungere condizioni di lavoro più giuste, più UMANE ... e mi insegnò il RISPETTO del lavoro proprio e altrui, mi parlò di quel senso di ONESTÀ e GIUSTIZIA che fa sentire liberi e ti fa camminare a testa alta. Non mi disse niente degli straordinari, ma io capii che non era giusto farli, perché il mio maggiore guadagno non doveva essere il frutto di una mancato lavoro destinato ad altre colleghe... e non li ho mai fatti, gli straordinari, come non ho mai accettato di fare neanche un'ora di supplenza per la stessa ragione.

E CONTINUO A CAMMINARE A TESTA ALTA

Io insisto dicendo al direttore di non preoccuparsi per me, e che accettavo la supplenza. Lui, allora mi dice che, per sicurezza, fuori dall'aula, avrebbe fatto sedere su una sedia,il bidello, pronto ad intervenire. Intanto mi accompagna davanti alla porta della classe, mi guarda per capire l'effetto che mi fa la confusione proveniente dall'interno dell'aula e poi mi lascia lì, davanti. Io entro.

La scuola materna dove ero tirocinante era frequentata dai figli degli ex baraccati, alle famiglie era stato assegnato l'alloggio e adesso i bambini venivano a scuola più regolarmente.  Dicevano molte parolacce e ne conoscevano il significato! Allora la direttrice ci propose un corso di aggiornamento sull'educazione sessuale. Dopo la teoria iniziammo a presentare ai piccoli le varie parti del corpo umano nominandole con i termini esatti, non volgari. Una mattina arrivò in classe una "donnona" che dopo avermi squadrato ben bene, mi chiese:

- Chi è la maestra della mi' bimba?-

Io sorridente risposi: - Sono anch'io... dica pure signora-

e lei: - Ma mi dici un po'ino, ieri la bimba, tutto il giorno, anche a tavola mentre si mangiava, diceva vagina di qua, vagina di là... ma cosa v'ol dire?-

Nell'educazione sessuale si erano dimenticati dei genitori! 

In quegli anni il Comune ci offriva la partecipazione a corsi di aggiornamento gratuiti anche fuori dalla nostra città, spesso in Emilia Romagna ed è lì che ho iniziato a PARLARE DI SCUOLA. E non è facile quando ci sei dentro, rischi sempre di parlare di te e girarti intorno.

IO, io, io...

E allora DEVI metterti in gioco, DEVI imparare ad intervenire, a non restare passiva, DEVI confrontarti, discutere, DEVI affrontare la realtà scolastica per capirla e viverla CON GLI ALTRI. Ricordo verbali di collegi docenti tragi-comici dove è scritto di maestri che dormivano durante le riunioni, di maestre che lavoravano all'uncinetto, chi leggeva libri, chi correggeva i compiti, interventi finiti in scoppi di pianti, litigi, minacce, uscite drammatiche... E poi situazioni di assoluta passività, di menefreghismo, di "furberia", nascosti in fondo, oggi con il cellulare... Ma anche di dirigenti motivati, forti nella loro dolcezza, presenti e consapevoli, vere guide alle quali rivolgersi per costruire INSIEME... ed altri che abbandonano vergognosamente un collegio per non sapere più che dire, per aver perso la voglia di fare...

In classe il caos: sedie e banchi senza una sistemazione logica, piccoli gruppi impegnati a: giocare a carte urlandosi parolacce, mangiare e bere, scrivere e leggere sui diari,alcuni tranquillamente affacciati alla finestra aperta, con una gamba che pende fuori mentre lanciano oggetti a quelli di sotto, accompagna il tutto un volare occasionale di fogli, quaderni e quant'altro, con la conseguente colorita risposta orale dei proprietari degli oggetti.

Una volta una direttrice mi invitò ad andare a Milano ad un convegno nel quale si affrontava il tema dell'Arte nella scuola... L'arte è una mia grande passione... mi preparai scrupolosamente. Eravamo tanti a Milano, camera di lusso, un ricco buffet, ma dopo gli interventi della mattina ebbi chiaro il sentore di un convegno organizzato per dare fumo negli occhi... Durante una pausa, si formò un gruppo di una ventina di noi, venuti da tutta Italia, (ci si capisce al volo, da un'alzata di sopracciglia, un sorrisetto beffardo, un sospirone...) scambiandoci le opinioni concludemmo che eravamo in una gran presa di giro... Nel pomeriggio l'ultimo saluto delle autorità e poi gli interventi dei docenti, io sarei stata la prima. Si presentarono quattro rappresentanti di Fabrika che conclusero dicendo che avevano messo a punto un prezioso kit da distribuire nelle scuole "Questo ci permetterà di arrivare anche in Cina, e, attraverso i bambini, convinceremo anche i genitori!" I quattro erano vestiti di tutto punto, giacca e cravatta, scuri, funerei, mi ricordarono i conigli di Pinocchio, ero infastidita da loro, da quello che avevano detto, salii sul palco nervosa, arrabbiata, nel cercare gli appunti che mi accorsi di averli lasciato sulla sedia, in platea, avrei dovuto parlare a braccio cercando disperatamente di ricordarmi quello che avevo scritto... maldestramente mi aggiustavo i capelli, quando il cinturino dell'orologio si impigliò nella fascia che avevo in testa, mi tolsi tutto con un gesto di stizza e iniziai a urlare:

- No, no, questa non è la scuola, questa non è la scuola! LA SCUOLA É ...

e partii con uno sproloquio rivolto ai quattro conigli, a quello che avevano detto e continuai a sfogarmi caricandomi sempre più con le parole di incoraggiamento urlate dai miei sostenitori appena conosciuti, criticai il convegno e le sue finalità, terminai dichiarando che sarei uscita dalla sala. Un applauso e tanti mormorii mi accompagnarono... finimmo la notte ai Navigli, noi, sparuto gruppo di insegnanti rappresentanti di una scuola italiana già allo sbaraglio, io nominata per l'occasione 'A FATA che si contrappone ai conigli, mentre in piedi su una spalletta, guidavo l'ubriaco coro di resistenza che cantava Bella ciao.

All'improvviso, un fischio, potente, lanciato da chissà chi... in un attimo riordinano i banchi, si siedono e mi guardano, tutti. Gli occhi dei bambini non mentono e scavano dentro.

LA SCUOLA SONO i bambini "aggressivi" e le bambine "tranquille", specchi di una realtà che deforma ed esclude...

LA SCUOLA È P. e il suo essere madre di sé e della sua, di madre, da proteggere come una bambina...

LA SCUOLA È R., albanese, quando entra il lunedì mattina e si arrampica fin sull'armadio stravolto da un weekend di violenze...

LA SCUOLA È N., fuggita all'improvviso con la famiglia per un progetto europeo di integrazione dei rom improvvisamente non più finanziato...

LA SCUOLA È A., kosovaro, appena arrivato, e il suo kalasnikov costruito con le Lego...

LA SCUOLA È N., fuggita con la famiglia dalla Libia, aggrappata al corpo del padre e poi al mio, occhi chiusi e labbra serrate...

LA SCUOLA É R, autistico che grida la sua gioia urlando suoni, saltando da una parte all'altra dell'aula mentre noi tutti comunichiamo a gesti, parliamo piano per non disturbarlo e sorridiamo, contenti che ci sia...

LA SCUOLA È E., dieci anni, situazione familiare allucinante... io e lui: amore a prima vista, un anno scolastico fantastico che si concluse con una gita di una settimana. Ognuno di noi insegnanti aveva adottato un alunno in difficoltà economiche impegnandosi a comprargli tutto il necessario per partecipare alla gita. Ricordo io ed E. felici in giro per la città a comprare di tutto, a scegliere i vestiti, gli accessori, a ridere dal parrucchiere, a mangiare il gelato, vicini. Leggevo la felicità nei suoi occhi, lui nei miei. Non volli leggervi lo smarrimento alla fine dell'anno scolastico, lo salutai convinta di averlo aiutato a diventare forte. L'anno dopo ebbi l'incarico in un'altra città, lontana, non pensai più a lui fino a quando qualcuno mi disse che, dopo pochi anni, era morto di overdose

Mi avvicino alla cattedra, mi siedo, restituisco lo sguardo a tutti e poi... faccio il gesto più inutile e sbagliato che potessi scegliere: apro il registro per fare l'appello.

LA SCUOLA DENTRO E LA SCUOLA FUORI: due mondi ancora troppo lontani fra loro

Eppure si parlava di equipe psico-medico-pedagogica che avrebbe affiancato il lavoro degli insegnanti e non MARCHIATO A FUOCO un essere umano in crescita con definizioni "precotte" che non dicono niente e negano l'individualità

E IL SINGOLO DIVENTA SIGLA PERDE UNICITÀ E VALORE

Inizio a chiamare gli alunni leggendo i nomi scritti sul registro, ma, ovviamente, mi rispondono altri, tre, quattro contemporaneamente, un bel gioco per loro, e ricomincia il caos...

Eppure ci sono stati i Decreti Delegati ... e mi ricordo l'emozione dei primi incontri con i genitori... e M., Presidente del Consiglio di Circolo, alla prima riunione quando arrivò con la tuta da lavoro e si chiuse in un'aula per ripresentarsi cambiato, in giacca e cravatta... e, con il suo fare, ci ricordò che

LA SCUOLA É IMPORTANTE E HA DIRITTO AL MASSIMO RISPETTO

Rimango immobile, li guardo, uno ad uno, penso... improvviso un altro fischio lanciato da chissà chi... si fermano e una voce dice: - Supplente, come sei "bona" me la fai una sega?-

IL RISPETTO CHE PRETENDO PER ME

di poter decidere, oggi,  di andare in pensione senza vedermi penalizzata e sentirmi mortificata e delusa

IL RISPETTO CHE HO PER TE

padre della bambina dai grandi occhi scuri, e dei tuoi 5 limoni sui mille venduti al mercato e immolati alla scuola in nome di scelte profondamente ingiuste

IL RISPETTO CHE HO PER VOI

esseri in crescita, e per il vostro diritto di vivere senza retorica né compromessi 

Mi alzo, invito tutti a spostare i banchi ai lati dell'aula, a prendere le sedie, a sederci in cerchio, vicini, mi siedo anch'io e poi li guardo:

- Parliamo-                                                                               

                                                                                                                 Una di noi