Per gente come noi.
Per gente come noi, che si è ritrovata da Saturday Night fever in Via Caetani in un batter d'occhio, e poi ha dovuto suo malgrado aspirare l'odore acre di Via D'Amelio dopo la prevedibilissima strage di Capaci, per gente come noi, dicevamo, la politica non è mai stata un guscio vuoto. Ed è forse per questo che questa spasmodica attenzione per i contenitori non ci entusiasma per niente. A parte che un giorno ci dovranno anche spiegare come fanno a tirarli su, i contenitori, vista l'impotenza organizzativa che ci circonda. Ma eventi, peraltro reiterati, come la Leopolda fiorentina, dimostrano se ce ne fosse bisogno che la leadership incidentale di un Paese passa anche dalla capacità di aggiudicarsi l'emozione più remunerativa del mercato politico. Berlusconi lo seppe fare nel 94, quando ballò sulle macerie di un sistema che lo aveva nutrito e protetto, Renzi potrebbe iniziare a farlo oggi, dovendo solamente trovare la quadra della devastazione culturale e politica del presente, dopo avere messo in sicurezza l'emotività instabile di un paese impoverito e senza rotta. Berlusconi giocò con le connessioni televisive, protette da una legislazione in progress per lo più favorevole, per uniformare i gusti e le ambizioni di un paese che doveva essere semplicemente sintonizzato sulle modulazioni di frequenza di appelli e suggestioni pubblicitarie. Renzi non ha questo problema, perchè opera su un parco ideativo (quello della Rete) che non necessita di concessioni amministrative, ma solo di una macro sintesi fra aspettative e livelli di comunicazione differenziati. Il primo faceva scorribande nell'etere, confidando nel contributo "interessato" di amici e forse anche "compagni" che poi furono travolti e ridimensionati dalla Tangentopoli meno evidenziata dalla storia di quegli anni. Quella che intervenne sul "finanziamento" illecito ai partiti aprendo peraltro crepe significative nell'interpretazione autentica di due reati "cult" come la corruzione e la concussione. (a seconda di come si inquadrassero le relazioni personali che generavano il condizionamento dei partiti e delle Istituzioni interessate) Il secondo (Renzi) è condannato ad operare nella trasversalità del sentimento negativo verso la politica formale, già picconata oggi da Grillo, un tempo dalla Lega padanica, dallo stesso Berlusconi quando parlava di "teatrino della politica", ma anche da Monti quando ha tentato di "semplificare" la politica facendosi eterodirigere dalla misura del differenziale con i Btp tedeschi. Questo input di "innovatore comunque" gli ha spalancato poi le porte di Sky e dei gruppi editoriali ispirati dalla figura imponente di De Benedetti. Se Berlusconi insomma ha alzato l'ematocrito dell'elettorato nazionale (o quanto rimaneva di esso) per relativizzare il suo conflitto d'interessi, Renzi si limiterà a stabilizzarne l'umore (e ovviamente le emozioni) cercando consensi tra le legioni dei grillini "de sinistra" e ovviamente nella pancia di quanto rimane del ventennio berlusconiano, senza tralasciare ovviamente "quei nuovi aspiranti italiani" che tanta parte stanno avendo nella vergognosa contabilità dei nuovi iscritti "al Pd". Non è un caso che Renzi si dichiari fermamente contrario all'amnistia e all'indulto (con riferimento ad una eventuale combinazione Napolitano-Letta-Alfano che possa indirettamente favorire il decaduto e condannato Berlusconi), sostenga lo "ius soli", ma poi annunci di volere "riformare la Giustizia" secondo lo schema dei saggi quirinalizi, consolidando "tra le righe" il principio di responsabilità civile per i Magistrati che sbagliano. Si dichiari a favore del voto palese nel voto sulla decadenza di Berlusconi e impugni con Grillo lo scalpo berlusconiano (cosa che a Grillo costerà cara sul piano elettorale), ma poi non dica nulla sul caso Cancellieri, Ministro della Giustizia molto vicina al clan del tangentaro Ligresti. Renzi insomma interpreta gli umori prevalenti del Paese, ma, a differenza del primo Berlusconi che si fece un partito da solo, è costretto a muoversi in un contenitore ottocentesco, ormai di dubbia trasparenza politica e scarso radicamento territoriale. Una "fucina di tessere" che può paradossalmente rappresentare un freno per chi la leadership intende cercarla nella "rete" o fra gli italiani "che sfidano individualmente gli effetti economici ed esistenziali" di una crisi certamente più grande e diffusa di quanto non dicano gli indicatori ufficiali. Per gente come noi, cresciuta forse suo malgrado tra il 78 e il 92, tra Via Fani e Via d'Amelio, non è certamente un bel segnale.
P.S. Ci fanno osservare che Renzi avrebbe preso posizione sulla questione Cancellieri e sulla rete familistica di quest'ultima (Ministro della Giustizia) con il clan di Ligresti, attestata da una serie di inequivocabili intercettazioni. Circostanza che, obiettivamente, avrebbe indirettamente favorito (o condizionato) il complesso iter di scarcerazione di Giulia Ligresti. (da cui il successivo patteggiamento della pena di quest'ultima). Non tutti nel clan di Renzi e soprattutto nel Pd (vedi le dichiarazioni del capogruppo Zanda al Senato, ex allievo di Cossiga) la pensano come lui. Ma Renzi ha parlato "dopo" il dibattito in Senato (quando i sondaggi popolari sulla sorte del Ministro
erano spalancati) e soprattutto, come spesso gli capita in questo periodo, ha detto "Al posto suo mi dimetterei" oppure "Se fossi stato il leader del Partito le avrei chiesto di dimettersi "Tutte frasi al condizionale che evidentemente non dicono nulla e soprattutto non sciolgono la riserva del fiorentino sul presunto abuso della funzione ministeriale da parte della super ministra nel caso in questione, nonostante il pressing di Repubblica e azone limitrofe. Vediamo cosa accadrà mercoledì 20 al voto sulla mozione di sfiducia. Prevarranno Zanda, Renzi o il partito di Repubblica (che sostiene Renzi)?