Nogarin e la politica liquida: il tempo che stringe
NOGARIN DA' LE CARTE
Il sindaco di Livorno Nogarin tenta di uscire dall'angolo di numeri preoccupanti proponendo un allargamento della propria maggioranza. Lo fa alla vigilia di scelte decisive per la Città di Livorno, da molti anni nella morsa di una crisi affliggente e selettiva che sta facendo vittime numerose e soprattutto silenziose. Lo fa riannodando i fili della sua stessa elezione, frutto di indiscutibile intelligenza politica. Lo fa cercando di recuperare lo "spirito" del ballottaggio, magari tentando di scriminare il grano dal loglio, cioè il consenso opportunistico da quello qualificato dai programmi e da un autentico spirito civico. Lo fa sfidando, in taluni frangenti, la leadership nazionale e la confusa base territoriale del suo stesso Movimento, cui come noto fanno difetto esperienza ed effettiva conoscenza dei problemi. Un calderone spesso folkloristico dal quale ogni tanto escono fuori buone idee, ma anche conflitti e irriducibili rancori personali. Soprattutto nei confronti dello stesso Nogarin. Una situazione assurda e del tutto impolitica di cui il Sindaco potrebbe suo malgrado fare le spese sul piano dei numeri di governo.
LA CAMERA IPERBARICA
Un po' lo specchio di una città che per moltissimi anni è rimasta chiusa in una camera iperbarica, mentre non più di trenta persone si occupavano per via bancaria di salvataggi finanziari (prorogando l'agonia di aziende che consolidavano politicamente debiti) o per via comunale di azzardate trasformazioni urbane, come quella del fronte mare, di cui ha fatto le spese nel silenzio generale e la collaborazione della Cgil locale (oggi sulle barricate per Aamps) tutto l'indotto delle riparazioni navali. Era insomma scontato che, una volta uscita dalla camera iperbarica, la città demolisse l'ancient regime. Un po' meno scontato che a 18 mesi dal suo insediamento il nuovo Sindaco, che pure ha commesso molti errori di valutazione, riscoprisse le virtù della politica liquida e cercasse all'esterno (e dunque tra le forze civiche e progressiste) il propellente per portare a compimento il suo mandato. A queste ultime, che rispettiamo, non chiediamo di fare contratti al buio, ma quanto meno di non infilarsi nel terreno aperto dai rancori personali per fare fuori Nogarin. Sia chiaro che nella camera iperbarica noi non vogliamo ritornare. Anche perchè gli scarti umani di questa fase di politica economica (che a Livorno sono in gran numero e che probabilmente nel giugno 2014 hanno votato per il cambiamento) non capirebbero.
LA CRISI, LA CITTA', LE SILENZIOSE VITTIME SOCIALI E IL CONFLITTO APERTO COL PD DI RENZI
La sensazione evidente è infatti che, in mancanza di segnali autorevoli di governo locale, alle vittime sociali della congiuntura economica che ha colpito il settore industriale e su piani diversi quello artigianale (riparatori compresi) non resterebbe che affollare gli sportelli previdenziali per cercare di esorcizzare gli effetti drammaticamente dilatori della Legge Fornero. Della cui riforma il Caudillo di Rignano sul'Arno si è come noto scientemente disinteressato, al pari della Sinistra, per favorire, con il taglio della tassazione immobiliare, la "rinascita pilotata" del ceto medio impoverito e il progressivo depauperamento finanziario dei Comuni. Una condizione di status che certamente non rallenta comunque il ricorso al "Comune " come sportello di prossimità. Il deserto rosso dell'Area industriale del Picchianti, ulcerata dai forni dell'inceneritore e abbandonata a se stessa, sta li' plasticamente a dimostrarlo. Al pari di quanto sta avvenendo nel girone dantesco di Via Enriques, dove un tempo insistevano gli stabilimenti leader della componentistica auto. Un'economia a pezzi, ma quanto meno il "sollievo" (per ex imprenditori, operai e impiegati espulsi da quel processo produttivo e con mutui a carico) di non pagare Tasi e forse neanche Imu. Questa la carta placebo giocata dal Governo, e in buona sostanza dal Pd, per anestetizzare il dolore della crisi. Specie nei distretti, come quello livornese, dove i quadri non portuali tornano in città il venerdi sera dopo una settimana di lavoro trascorsa in giro per il mondo e gli operai, settimana natural durante, assediano l'Inps territoriale per integrare le proprie rendite immobiliari con il trattamento di disoccupazione o un minimo di contribuzione volontaria. Effetto plastico di quel paradossale cocktail del benessere "trasversale ai ceti" fortemente perseguito da Renzi per spengere sul nascere il conflitto sociale. E che un commissariamento prefettizio del Comune (dopo quelli del Porto e della Asl) integrerebbe alla grande generando la morte definitiva della politica.
UNA CITTA' COMMISSARIATA
Come ricomporre i tasselli di questo disastro? Solo con i finanziamenti regionali? Solo affidandosi al cilindro generoso dell'astuto Lotti, il principale collaboratore del premier escamisado di Rignano sull'Arno, che già è intervenuto con discutibili modalità per ricomporre i pezzi della call center di Guasticce? Certamente si, se Nogarin se ne dovesse andare con il contributo più o meno corale (e magari corredato da innominabili sgambetti istituzionali) delle opposizioni progressiste. E a giovarsene non sarebbero certamente gli ormai 20.000 disoccupati freschi di rottamazione che presidano inutilmente il territorio. Con lo spettro della mobilità in esaurimento.
IL CASO AAMPS
Molto inferiore infatti la capacità di persuasione di questi ceti sulla gestione politica rispetto a quella, per fare un esempio, dei precari internalizzati di Aamps, una agguerrita guarnigione di operatori ecologici che cercano una stabilizzazione giuridicamente incompatibile con il risanamento finanziario dell'Azienda affidato (sindaci revisori permettendo) alle cure del Tribunale fallimentare (era l'ora). Se Aamps riuscirà a trovare le risorse per prenotare il concordato, cosa non scontata, le forze progressiste dovrebbero cooperare perchè un buon piano industriale (magari condiviso e non edito da qualche presunto esperto di giornata) vada a sostanziare i contenuti del piano concordatario. Siamo infatti convinti (ma è solo un'opinione) che le stabilizzazioni debbano essere effetto del doveroso risanamento finanziario. Ma questo ovviamente non esclude che i contratti annuali, legati a servizi di pubblica utilità, possano e debbano essere rinnovati quanto meno nelle more della sentenza di omologa del concordato se quando verrà trovato un accordo equo con il ceto creditorio. Se e quando, naturalmente, un giudice stabilirà, nell'arco di 120 giorni dalla pubblicazione della prenotazione nel registro delle Imprese, che la procedura potrà essere regolarmente ottemperata.
UN PROGRAMMA PER UN BIENNIO
In questa declinante condizione di contesto non è chiaramente in ballo la copertina di uno stile di governo, quanto la capacità di fare barra a dritta sui problemi cercando di ridurre i danni collaterali della crisi e delle politiche clientelari (e/o a livello aziendale in deficit spending) di un passato che è appena dietro le spalle. Può farcela in tutto questo un Comune con ridotte capacità di spesa e una programmazione suo malgrado di corto respiro? Può farcela un'amministrazione a investire risorse importanti nel recupero urbano (capitale fisso) e nello stesso tempo a sostenere reti di supporto all'investimento tecnologico e industriale (capitale mobile e sociale)? Può farcela a non "promettere" fragile occupazione nel breve, ma a prevedere percorsi che garantiscano a tutti una progressiva e qualificata ricollocazione nel mercato del lavoro? Un Comune serio può farcela a condizione che scelga una narrazione non elusiva e rimetta in gioco, con procedure di evidenza rigorosamente pubblica, le sue aree, le sue reti logistiche, i suoi patrimoni. Benvenga la politica liquida, se serve a migliorare condizioni di equità sociale e di trasparenza amministrativa. Una sfida da cogliere in tempi brevi. L'alternativa sarebbe un mesto e definitivo ritorno nella camera iperbarica.