Mattarenzi, tra Passacarte e uomo di Stato

01.02.2015 10:57

CHE SENSO HA UN PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA

La differenza che passa tra un passacarte e un uomo di Stato sta tutta nel suo grado di effettiva autonomia. E naturalmente nel rispetto del suo ruolo istituzionale. Quando per conquistare l'autonomia funzionale si scardina il ruolo istituzionale, vuol dire che c'è qualcosa che non funziona. Soprattutto nella relazione con gli altri poteri dello Stato. E ovviamente con i cittadini, spettatori non paganti (al netto ovviamente di tasse e contributi) di ogni elezione del Presidente della Repubblica. Nella parte più opaca della cosiddetta seconda Repubblica il capo dello Stato (nella specie Napolitano) è stato un giocatore della partita, al punto tale che molti degli equilibri di governo sono stati determinati da lui. "Altro" che passacarte, ma nello stesso tempo "altro" che uomo di Stato dal taglio notarile, tanto meno figura neutra e di garanzia, soprattutto per le minoranze che stanno dentro e fuori il Parlamento. Da questo punto di vista Napolitano ha rappresentato un unicum.

 

LA PSYCO REPUBBLICA DI NAPOLITANO E RENZI

Fino all'investitura diretta del principe di Rignano, che è salito a Palazzo Chigi con il mandato presidenziale di assumere al Governo "di medie intese" compiti riformatori straordinari, delegati da un Parlamento delegittimato nella sua stessa composizione dalla Corte Costituzionale e autorizzati, appunto, dallo stesso Capo dello Stato. Si è proceduto così a Costituzione invariata ad un sostanziale riposizionamento dei poteri, con un Presidente che versava benzina nel motore delle riforme delegate ed un Premier extraparlamentare, legittimato come noto sua da una sorta di indeterminato e confuso mandato popolare derivatogli dalle primarie del Pd e dalla conseguente pesca a strascico dei voti del centro destra. Un passaggio stretto e irrituale che gli ha consentito di assumere la direzione dello Stato attraverso il controllo pressochè totalitario della maggioranza del suo Partito e dei gruppi parlamentari, questi ultimi dilatati dal bonus maggioritario dichiarato incostituzionale dalla Consulta. E nello stesso tempo di avviare la "stagione delle Riforme" svuotando il Parlamento di qualsiasi capacità di indirizzo, dopo avere ricevuto personalmente una maxi delega fiduciaria sul tema dal "giocatore" Napolitano. 

 

LA DIREZIONE DEL VOTO PER IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA (DOPO IL SILURAMENTO DI PRODI E LA "MANINA" DEL DECRETO FISCALE)

Per la proprietà transitiva, l'irrituale condizionamento del voto per il Presidente della Repubblica è stato fatto attraverso il controllo dei grandi elettori del suo Partito, gli stessi che due anni fa, su istigazione di un Renzi allora sulla rampa di lancio, silurarono l'autorevole candidatura di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica. Con il quale probabilmente non ci sarebbero stati Nazareni e il giovane rignanese sarebbe si salito a Palazzo Chigi, ma  svezzato da un nuovo test elettorale dagli esiti imprevedibili. Fino a ieri non si era mai visto un premier extraparlamentare dirigere le consultazioni del Quirinale, nella sua qualità aggiunta di segretario di un Partito, per orientare il voto su un Presidente della Repubblica, tendenzialmente più Passacarte che Uomo di Stato. Un Presidente che magari, per il suo passato da prima Repubblica, sarebbe stato nominalmente sgradito al Berlusconi alleato "fiscale" del Patto del Nazareno, ma la cui scelta, se ben ponderata, lo avrebbe potuto riconciliare con l'impresentabile Vendola e le cariatidi della sinistra Dem, da Bersani a Fassina, spiazzando  oltretutto quanto rimane delle inconcludenti legioni di Grillo e Casaleggio.

 

MAGGIORANZE VARIABILI

Una mossa effettuata con la stessa scioltezza con cui lo stesso Renzi si è assicurato per tempo un'altra "maggioranza" (quella con Berlusconi e soci) per farsi eleggere premier dai cittadini (il Sindaco d'Italia), disporre di una maggioranza parlamentare inossidabile di ben 340 deputati (effetto del bonus al voto di lista) sull'unica Camera rimasta (il Senato verrebbe infatti ridotto a un ruolo testimoniale) e azzerare di fatto i poteri di nomina e di scioglimento delle Camere assegnati dalla Costituzione al cosiddetto Capo dello Stato.

 

IL DILEMMA DI MATTARELLA

Ora per il neo eletto Mattarella (auguri) si pone di nuovo l'antico dilemma. Esistono i margini di autonomia politico istituzionale per fare l'Uomo di Stato senza correre il rischio di essere percepito come un diligente promulgatore di Decreti delegati o di Riforme scritti/e magari da una delle tre maggioranze utilizzate da Renzi  per dirigere lo Stato con la complicità di buona parte della carta stampata? Il passaggio è un'altra volta decisamente stretto. Non crediamo che Mattarella abbia il temperamento per scardinare il proprio ruolo istituzionale, esattamente come hanno fatto alcuni suoi predecessori fino alla macro anomalia di Napolitano. Mattarella deve tutto a Renzi e forse allo stesso "giocatore" Napolitano che non a caso si rivolse in modo inquietante "al suo successore" durante il messaggio di fine anno. Oltrettutto, come abbiamo visto, andiamo verso un quadro istituzionale che limita di gran lunga i poteri del Presidente della Repubblica rendendolo un'ombra del Premier. La prospettiva allora è quella inesorabile del passacarte, con un'unica freccia al suo arco. Quella di sciogliere le Camere di qui al 2016, come la Costituzione gli consentirebbe, per mettere ordine in un sistema impazzito che ha finito per concedere un potere extraistituzionale enorme a Renzi e ai suoi fedelissimi. Senza alcuna possibilità di controllo per i cittadini. E con una serie di gravi incognite per il futuro economico del Paese.