Macerie elettorali
Un rimedio peggiore del male, probabilmente, quello uscito dalla decisione della Corte Costituzionale sui vizi e le virtù dell'ex legge elettorale per la Camera dei Deputati. In effetti la Consulta ci restituisce qualche indicazione e qualche scoria del recente passato con la decisione sulla parziale "costituzionalità" dell'Italicum. Per obiettività e completezza di informazione va detto che in questo caso l'ex Principe di Rignano non esce (ahinoi) sconfitto come nel caso del referendum del 4 dicembre scorso. E non è un caso che insieme a Grillo e ai "sovranisti" di centro destra chieda a gran voce "elezioni subito" sull'abbrivio della sentenza "autoapplicativa" della Corte da adeguare velocemente al sopravvissuto Senato. Al netto di ogni considerazione preliminare sul parto dell'Italicum (che è stato terribile per l'effetto calamita che i voti di fiducia hanno avuto sul fenomeno invalidante del trasformismo parlamentare), è vero infatti che è stato spazzato via il ballottaggio, ma è rimasto in piedi, di default, l'enorme premio di maggioranza del 40% per lista che, come evidenziano giustamente i Comitati per il No, costituisce il cuore comunque plebiscitario di un sistema elettorale di natura proporzionale. Tutto sommato il ballottaggio fra le due liste più votate al primo turno ed inferiori al 40% (ma senza avere raggiunto una dote preventiva di voti validi) avrebbe "razionalizzato" il successivo riparto maggioritario di seggi alla Camera (il 55% circa dell'Assemblea), con effetti stabilizzanti per quella che i tecnici della prima repubblica definivano la "governatività" del sistema politico parlamentare, e che invece gli oppositori dell'Italicum e dell'abolizione del Senato elettivo avrebbero poi chiamato, non a torto, "democratura". Una condizione che avrebbe determinato, per paradosso, una minore presenza di deputati candidati eletti grazie alla nomina dei vertici politici (tra il 50 e il 60% circa dell'Assemblea), rispetto a quanto potrebbe verificarsi con l'approdo di tutte le forze politiche al di sotto del 40% (si stima il 70% dell'Assemblea) considerato che le forze minori e comunque inferiori almeno al 15% dei consensi esprimerebbero soltanto candidati nominati dai pur piccoli partiti. Ora, con la scossa di assestamento della Corte Costituzionale, che è conseguita fortunatamente al mancato sisma della riforma costituzionale funzionale alla cancellazione dello "scoglio" del Senato elettivo, la lunga marcia verso il Governo avverrà su base essenzialmente proporzionale (con una soglia di sbarramento molto bassa) e soprattutto con una scarsa qualità della rappresentanza politica. Allo stato attuale dei sondaggi infatti non è realistico pensare che l'obiettivo del 40% alla Camera possa essere colto direttamente, salvo sorprese, da almeno una delle forze politiche più rappresentative. Ma rimarrà comunque (come in parte sta già avvenendo) un martellante obiettivo da campagna elettorale capace di influenzare l'opinione pubblica e la stessa organizzazione delle liste elettorali. La non bocciatura dei capilista bloccati (in una misura abnorme rispetto al contesto complessivo delle candidature di lista ), combinati con la possibilità di pluricandidature personali nei collegi elettorali, restituisce poi agli aspiranti "quarantisti" un potere di scelta pressochè assoluto sulla futura classe dirigente del Paese riducendo al minimo ogni valutazione legata alla democrazia territoriale (una testa, un collegio, una tassa, un voto). Il "nuovo" Governo (che assuma forma maggioritaria col raggiungimento preventivo del 40% o coalizionale in seguito a mediazioni successive al voto) ne sarà una diretta conseguenza. Situazione preoccupante per un motivo fondamentale. I partiti nazionali non ci sono più e quelli che ci sono hanno caratteristiche prevalentemente plebiscitarie (Renzi con la rumba delle primarie aperte e senza congresso, Grillo per via rigorosamente telematica, quanto rimane di Berlusconi per via economica e mediatica, i "sovranisti" con il modello lepenista e trumpiano)... Ne consegue che la selezione dei parlamentari (a parte qualche farsesca variazione tipo le "parlamentarie" fisiche o telematiche o i gazebi) sarà condizionata dal principio di fedeltà al capo di turno, piuttosto che da quello della competenza e dei legami territoriali. Circostanza, quest'ultima, che allena al pluralismo e ad una sostanziale emancipazione nelle scelte amministrative rispetto alle decisioni di vertice. Da qui peraltro il più facile inserimento dell'azione penale (quando viene sollecitata) o della stessa Anac (quando viene strumentalmente sollecitata da terzi) sull'attività amministrativa piuttosto che sull'attività politico istituzionale di natura parlamentare o di Governo. Il cuore plebiscitario del sistema elettorale riveduto e corretto dalla Corte Costituzionale, insomma, rimane in piedi e i partiti che intendono alimentarlo al momento per via orale (tipo il Pd e lo stesso Movimento a Cinque Stelle) presto o tardi, se verrà mantenuto questo impianto, inizieranno ad abbaiare al "voto utile" e alla non dispersione dei voti validi per prendersi l'intera posta e drogare in tal modo l'effettivo riparto del voto proporzionale. Ne' Renzi, nè Grillo vogliono fare la fine del Bersani del 2013, ma sia l'uno che l'altro, per evitare questa prospettiva, dovranno battere la strada per loro contronatura delle alleanze preventive e, allo stesso tempo, mantenere il controllo assoluto dei gruppi parlamentari.