Livorno 2014: la ricomposizione attiva delle macerie.

16.01.2014 09:04

ELEZIONI AMMINISTRATIVE: E' IN BALLO IL NUOVO RUOLO DELL'ENTE COMUNALE

Grandi manovre in vista delle prossime elezioni amministrative a Livorno. Non ci saranno gli orpelli della Provincia elettiva e delle circoscrizioni comunali (azzerati dal vento della spending review) e allora tutte le energie dei competitors saranno concentrate sul Comune, inteso come organizzazione amministrativa e come piattaforma d'area "per lo sviluppo di un'economia logistico costiera". Quante volte, leggendo i giornali, abbiamo cercato di metabolizzare questi due concetti. Non sempre ci siamo riusciti. Anche perchè la distanza fra le parole i fatti è risultata spesso incolmabile. La spavalderia cialtrona  di certa politica tutelata e vezzeggiata da una stampa forzosamente servile ha fatto il resto.  E quelle paroline (logistico, costiero) oltre a essere beffarde, rischiano di suonare anche anacronistiche per una realtà che stenta da anni a darsi un profilo di città europea  legato alla totalità delle funzioni urbane e alla partecipazione virtuosa e attiva dei cittadini (da chiamare in causa non solo quando si tratta di votare per qualcuno e qualche cosa). Immaginiamo il contributo che potrebbe dare in questo senso allo sviluppo del turismo d'accoglienza una diffusa conoscenza delle lingue straniere almeno da parte di quei residenti e di quegli operatori commerciali che conducono le proprie vite di frontiera nell'immediata prossimità dello scalo portuale. Un Comune serio, invece di baloccarsi con lauree discutibili, potrebbe fare qualcosa in questa direzione valorizzando l'intreccio di culture e relazioni a partire ad esempio dai taxi collettivi o da eventi condivisi. Un Comune serio non può restare indifferente rispetto a un mondo che da aprile a novembre ci potrebbe entrare in casa senza prendere la via di Firenze.

GLI EFFETTI SELETTIVI DELLA CRISI SULL'ECONOMIA LOCALE 

La crisi ha d'altra parte "compartimentato" i settori, privandoli di integrazione funzionale e impiccandoli all'incognita dello 0,1 di crescita caro a Saccomanni e Letta.  Quando un'azienda industriale o commerciale non fattura più o è costretta ad azzerare i ricavi perchè non riesce più ad agganciare alcune commesse strategiche sul mercato estero, è destinata ad un binario morto che la conduce inesorabilmente alla chiusura. Ci sono intere aree industriali (come quella del Picchianti) che oggi appaiono, anche urbanisticamente, come un deserto rosso. Nessun servizio evidente, l'unico tentativo di creare un Centro Direzionale a poche centinaia di metri dall'Inceneritore (sempre in funzione, peraltro, con effetti devastanti per le popolazioni) è finito nel nulla. Anzi, con un contenzioso fra i costruttori ed Aamps, che aveva promesso di condurvi ivi in locazione i futuribili Uffici dell'Ato Rifiuti dietro la promessa di vendita della sua antica sede di Via Bandi, oggi alla mercè dei senza fissa dimora. Ma in questo senso la stessa dimensione della crisi ha assunto una connotazione anche politica (locale e dunque comunale) perchè la paradossale e ostinata  ricerca di poli d'eccellenza (tipo quello astrattamente universitario), la concentrazione di finanza comunale e regionale sui Piuss ancora da completare, l'immobilizzazione di alcune decine di milioni sulla viabilità ospedaliera del comparto sud, hanno sottratto risorse utili, specie durante la gelata della crisi, alla promozione di interventi pubblici che avrebbero potuto rappresentare un elemento di controtendenza da giocarsi per l'immediato futuro. Dal rocambolesco insediamento di Azimut Benetti sulle aree produttive dell'ex Cantiere nel 2003 è uscito a fatica qualche yacht irraggiungibile anche alla vista (al netto di quelli che hanno preso fuoco), ma non quella attività di filiera di cui molti osservatori interessati parlarono all'atto del suo insediamento. Quante chiacchiere su Azimut come volano delle riparazioni, del refitting, addirittura di attività espositive (qualcuno parlò di Ex Pirelli) che avrebbero dovuto fare concorrenza a Genova. Scomparsa la prospettiva del porto Turistico (che secondo Il Tirreno di allora avrebbe potuto occupare nel giro di pochi anni qualche decina di migliaia di persone), di cui oggi si parla in una prospettiva peraltro ridotta, mentre assumono plasticamente corpo negli ambiti urbani di Piazza Mazzini e delle ex Officine Storiche le strutture di supermercati ripetitivi dei punti vendita del Nuovo Centro e di Porta a Terra, come in una specie di ordalia del consumo alimentare e non che lega una città stremata al suo immediato futuro.

OLTRE L'EDILIZIA DELLE GRANDI OPERE COME TRAINO OCCUPAZIONALE: AREE, FILIERE E DEMOCRAZIA

Il Porto operativo da parte sua è storicamente distante dalla Città, ingessato com'è dalle  concessioni improduttive e dalle sue arci note arretratezze strutturali che richiederebbero ben altro approccio culturale anche da parte dell'amministratore pubblico. Al di là di quanto viene annunciato nel Piano Operativo Triennale da un numero infinito di anni. Buone idee, come quella italo-picciniana dei Grandi Molini e dei Magazzini del freddo hanno mostrato più di una debolezza finanziaria, dovendosi confrontare con mercati globali particolarmente aggressivi. Il nanismo imprenditoriale dei terminalisti e la crisi strutturale del soggetto imprenditoriale dei portuali (oggi alla ricerca di ossigeno finanziario, anche qui, da Mamma Coop Tirreno) hanno completato il quadro. Per il resto nessuna esperienza di filiera degna di questo nome, come accade sempre più frequentemente altrove. Dalla coltivazione del pomodoro alle serre floreali e agricole, dalla produzione della pasta, della carta  a quella dei film, passando, ove del caso per le professionalità informatiche di supporto e  l'ormai scontato business delle energie rinnovabili, almeno finchè sul comparto non si sono abbattuti gli appetiti della speculazione e dell'intermediazione politico burocratica di sistema. Tutti interventi che legano insieme l'attività di raccolta finanziaria a quella produttiva, quella del trasporto alla più ampia opportunità di commercializzazione diffusa, unica alternativa seria all'egemonia fondiaria e distributiva della grandi catene commerciali. Tutte attività che potrebbero incentivare i giovani a rimanere in zona e smentire quel vecchio andazzo per cui per fare fortuna "bisogna andare a Roma", se solo esistesse una politica delle aree e delle concessioni finalmente oculata. Che  intendesse diversificare le opzioni e investire sul territorio contro gli effetti di una crisi che oltretutto tende a spacchettare dividere, disperdere le professionalità piuttosto che concentrarle in un percorso virtuoso. Un Comune serio oggi può orientare l'economia locale. Senza nascondersi dietro l'alibi interessato della crisi. Occorrono amministratori nuovi e professionalità aperte. E un legame profondo alla città che non passi, una volta tanto, da qualche sezione di partito  dalla direzione di qualche giornale o dal circo elettorale delle primarie. Tanto meno dall'interessato buonismo di chi afferma, per complicità ideologica, "voltarsi indietro non serve, quello che è stato è stato, è ora di pensare al futuro", sottraendosi per scelta interessata all'accertamento di precise responsabilità politiche. E' ora di ricomporre le macerie.