Libri in tribunale: il caso Livorno

16.05.2016 09:18

IL VALZER MEDIATICO DEGLI AVVISI DI GARANZIA

"Non ho rubato, non ho distratto fondi, non ho commesso peculato "ha affermato il Sindaco Nogarin di fronte al Consiglio Comunale di Livorno "Per questo non mi dimetto", ha concluso il primo cittadino tirandosi dietro le invettive dei suoi accusatori in carne e ossa (per lo più lavoratori Aamps sindacalizzati uniti alla singolare massa critica di Livorno Bene Comune e grillini dissidenti) e mediatici. Lo ha detto però quando il manganello mediatico degli avvisi di garanzia era già stato impugnato dai soliti noti (i cosiddetti dobermann dell'inner circle renziano tra cui un attivissimo Andrea Romano, ex dalemiano ed ex Scelta Civica prima di diventare colonnello renziano) per smascherare la presunta incoerenza dello stesso Nogarin rispetto alla deontologia pentastellata che imporrebbe all'amministratore pubblico di dimettersi al ricevimento di una comunicazione giudiziaria (purchessia) di iscrizione nel registro degli indagati. Lo aveva chiesto, sbagliando, il candidato premier  Di Maio, tanto per scolpire la differenza genetica tra la soggettività Pd e quella a Cinque Stelle rispetto all'incombenza di un'inchiesta giudiziaria.

 

LA RESPONSABLITA' POLITICA DI CHI E' COSTRETTO A "SPORCARSI LE MANI"

Quanto è bastato per fare sollevare al concistoro ipocrita degli editorialisti di Repubblica e Corriere della Sera una presunta questione etica che separerebbe dalla realtà chiunque (e dunque in particolare il M5S) non condivida l'assunto renziano secondo il quale la responsabilità politica dell'amministratore pubblico messo sotto inchiesta  è scritta soltanto nell'ultima sentenza, qualora lo stesso venga rinviato a giudizio e successivamente giudicato colpevole, termini di prescrizione più o meno breve permettendo. In realtà, come spiegò Antonio Ingroia ai tempi del tergiversare di Marino, prima protetto, poi liquidato dal Commissario romano del Pd, esiste una responsabilità di natura politica nei confronti degli elettori e dell'opinione pubblica che viene prima dell'automatismo penale e per certi aspetti è anche indipendente da esso. Per quale motivo insomma dovrebbe dimettersi Nogarin se "non ha rubato, non ha distratto fondi, non ha commesso peculato" e per quale motivo non lo dovrebbe fare il sindaco di Lodi (fatta salva la presunzione d'innocenza, ma reo confesso), attualmente agli arresti domiciliari per avere taroccato le prove di un bando di gara truccato? Per quale motivo dovrebbe dimettersi Pizzarotti, sindaco di Parma, cui un senatore del Pd ha rinfacciato una nomina che rientrava nel suo potere di valutazione discrezionale (sia pure supportato da un bando pubblico esplorativo) e per quale motivo non dovrebbero dimettersi dai rispettivi incarichi i molti amministratori e politici Pd (e non solo) di cui abbiamo letto nelle ultime settimane, anche in relazione a pesantissime contestazioni di reato? Chiaro che la lotta politica porta a condizionare ogni tipo di valutazione non tanto in base al merito dei reati effettivamente contestati dal procuratore di turno, quanto alla interpretazione mediatica che si dà di essi. Ritenendo che sia poi l'opinione pubblica a stabilire se un sindaco magari onesto si debba dimettere non tanto in base alle nomine che fa (e Nogarin sotto questo aspetto ha commesso più di un errore di valutazione, e non solo nella vicenda Aamps), ma in relazione ai fanta-reati che non ha commesso e che gli vengono contestati all'unisono  da procuratori e revisori contabili.

 

IL TEOREMA DELLA BANCAROTTA FRAUDOLENTA DI AAMPS: SEGNATEVI QUESTE DATE

Tipo quello di concorso in una bancarotta fraudolenta di cui francamente ci sfugge (pronti a essere contraddetti) la configurazione del presupposto soggettivo, cioè quella dell'imprenditore "se dichiarato fallito" (chi sarebbe?), come quella del presupposto oggettivo, cioè quella di un "fallimento" aziendale che salvo il vero non si è fortunatamente ancora verificato. A meno che non si ritenga (ma saremmo di fronte a un teorema difficilmente dimostrabile) che la stabilizzazione dei 33 precari Aamps addetti al servizio di prelievo dei rifiuti (avvenuta il 27 gennaio 2016) sia stata fatta con la ferma determinazione di aggravare il dissesto di un'azienda, per la quale esattamente quasi un mese dopo (25 febbraio 2016) il nuovo Consiglio di Amministrazione avrebbe invece prodotto presso il Tribunale Fallimentare l'istanza di concordato preventivo "in continuità aziendale" in bianco (poi accolta dal Tribunale il 7 Marzo 2016). Come se insomma il nuovo inquadramento dei lavoratori aggiuntivi (chiesto peraltro a gran voce da sindacati e forze politiche di ogni colore) fosse stato costruito dall' "imprenditore-Comune"e socio totalitario di Aamps per impedire qualsiasi accordo con i creditori storici e dunque obbligare il Tribunale a dichiarare il fallimento piuttosto che l'omologazione del concordato con cui il debitore paga i crediti ammessi dei fornitori (sospesi) e delle banche (interessi). Peraltro, solo due giorni prima dell'insediamento del nuovo Cda (avvenuto il 22 gennaio 2016) era stato il Presidente del Collegio dei Revisori Francesco Carpano, durante il suo interim di amministratore reggente, ad affermare in Commissione Comunale Bilancio che l'azienda si trovava in avanzato stato di decomposizione, che l'attesa per un nuovo Cda avrebbe peggiorato le cose e che addirittura il concordato andava affidato in via diretta, senza perdere altro tempo, perchè Aamps era già sulla bara. Che cosa avrà voluto dire il grande accusatore del socio comunale e sostenitore dal primo momento della ennesima ricapitalizzazione pubblica del buco di bilancio in luogo del concordato medesimo? Passaggi non chiari che a nostro giudizio meriterebbero un approfondimento da parte degli stessi organi inquirenti in relazione alla complessità della procedura e dei filoni d'indagine. Ce n'è abbastanza per significare come sia l'assunto di Di Maio (dimissioni automatiche per avviso di garanzia) sia quello di Renzi (ci si dimette se e quando, prescrizione permettendo, si andrà a sentenza di colpevolezza) siano del tutto incongrui con il principio di responsabilità politica che dovrebbe informare di se' ogni comportamento veramente trasparente e lungimirante. Specie in una fase piuttosto torbida come questa, dove il ricorso alla Magistratura (legittimo in se') è però chiaramente strumentale alla definizione di liti politiche o al commissariamento prefettizio di organi politici amministrativi (come i Comuni) direttamente scelti dai cittadini.