L'Aamps di Livorno va in "bianco" con il concordato. Come e perchè

16.02.2016 09:11

Sulla vicenda Aamps si è detto e si è scritto molto, talvolta a sproposito e con intenzioni palesemente strumentali. Discutibile comunque, a nostro giudizio, che di fronte alla "fallibilità" dell'azienda (questo il presupposto funzionale della procedura concordataria), non siano stati forniti dati che certificassero in modo inoppugnabile lo stato di crisi dell'impresa. Il duende fra il socio unico e il collegio dei sindaci revisori ha poi fatto il resto, riproducendo una conflittualità che avevamo visto trascinarsi e poi esplodere anche con la precedente gestione, quella che aveva sdoganato un bilancio già gravato da perdite di esercizio, ma concluso "politicamente" in utile. L'"uso politico" del bilancio di Aamps è stata dunque una costante di questa vicenda, nel corso della quale non va comunque dimenticato il fatto che con la contrastata approvazione del bilancio 2014 (avvenuta con un semestre di ritardo) il capitale sociale dell'azienda (pari a quasi 17 milioni di euro) è stato in buona parte utilizzato per ripianare la perdita di più di 11 milioni di euro (per lo più dovuta a partite straordinarie fatte rilevare come tali  dalla stessa ex Presidenza Iacomelli) con la quale è stato chiuso l'ultimo consuntivo. E che ulteriori 11 milioni di crediti "deteriorati" (corrispondenti a tributi ambientali  non riscossi), ma con tutta probabilità non prescritti, siano stati ceduti al socio unico (il Comune nella sua qualità di ente riscossore) perché, ai sensi di una nuova disciplina legislativa entrata in vigore in estate per iniziativa del Governo Renzi, venissero valorizzati con la nuova imposizione tariffaria dei prossimi anni. Al di là dunque delle schermaglie politico sindacali, è questo il quadro su cui insiste la pressione di uno stock debitorio evidentemente impressionante, ma di cui ad oggi, nonostante il plateale  protagonismo del presidente del Collegio dei Sindaci Revisori Carpano, non è dato di conoscere né l'effettiva consistenza economica (da non confondersi con i debiti a breve generati dal ritardo fisiologico con cui il Comune "paga "la fattura trimestrale di Aamps), né la reale articolazione fra creditori finanziari (banche) e commerciali (fornitori). La confusione mediatica  e l'evidente strumentalizzazione politica che ne sono derivate non hanno permesso di evidenziare come l'unico possibile salvataggio di un'azienda pubblica "fallibile" (e non sovvenzionata da aiuti statali e regionali) passi da una seria revisione dei suoi indici finanziari e complementarmente dalla certificazione professionale di un piano industriale che "agganci" sul territorio (attualmente monopolizzato da soggetto privati) il mercato dello smaltimento eco sostenibile e del riciclo sia pure per una quota non prevalente del suo fatturato. Un passaggio davvero stretto, se consideriamo che attualmente con un contratto di servizio del valore di circa 39 milioni di euro, Aamps deve garantire il decoro urbano di una città di 160.000 abitanti, soddisfare le aspettative economiche di quasi 300 dipendenti e contestualmente onorare i crediti di un ampio spettro di fornitori, vittime dell'insolvibilità di Aamps ma anche dei fidi interrotti delle banche. Una crisi di sistema, dunque, che la la sopravvenuta debolezza patrimoniale di un'azienda peraltro colpita da una riduzione consistente del suo capitale sociale (vale a dire del suo rating presso le banche) non avrebbe potuto sostenere neanche con una ricapitalizzazione pubblica di relativo impatto sul già gracile bilancio comunale. Da qui la contrastatissima scelta del concordato preventivo in continuità aziendale (promossa dall'Assessore al Bilancio della Giunta a Cinque Stelle), uno strumento a sostegno della società con scopi preliminari di protezione del patrimonio aziendale dalla comprensibile aggressione dei creditori; una procedura che affida agli amministratori "vigilati"in varie forme dall'Autorità Giudiziaria il compito di provvedere al risanamento finanziario e al rilancio industriale dell'azienda dei rifiuti. Ecco allora, mentre fioccano i "no al concordato"e talune posizioni apocalittiche che prefigurano il fallimento pilotato dell'azienda, un primo utile vedemecum per capire meglio la natura e gli scopi di questa procedura. Molto diversa, evidentemente, da un concordato di carattere "liquidatorio" che precede il vero e proprio scioglimento  della società. 

 

Concordato preventivo con domanda “in bianco”

(Riferimenti Normativi: DL “crescita e sviluppo” - L. 7 agosto 2012 n. 134, pubblicata sul Supplemento Ordinario n. 171 della Gazzetta n. 187 dell’11 agosto)

 

L’imprenditore in crisi ha oggi un nuovo strumento di protezione a sostegno della società, nell’ipotesi di un tentativo di risanamento aziendale.

Sono, infatti, state apportate significative modifiche alla disciplina del concordato preventivo: in particolare è oggi possibile presentare una domanda di concordato “in bianco” che non fornisca, temporaneamente, alcuna indicazione circa:

- l’offerta proposta ai creditori;

- la tipologia di concordato che il debitore intenderà adottare;

- le modalità della sua esecuzione.

E’ stato modificato il nuovo sesto comma dell’art. 161 L. fall. (RD 267/42): l’imprenditore in crisi può oggi depositare il ricorso per l’ammissione al concordato preventivo allegando unicamente i bilanci degli ultimi tre esercizi e riservandosi di presentare successivamente:

- la proposta ai creditori;

- il piano concordatario;

- l’attestazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano;

- tutta la documentazione prescritta dal secondo comma dell’art. 161.

La modifica della legge fallimentare offre oggi uno strumento di difesa molto utile per l’imprenditore in crisi che voglia concordare con i creditori un abbattimento del debito.

Il nuovo concordato consente infatti un’immediata protezione del patrimonio per il periodo necessario all’elaborazione del piano, allo svolgimento delle trattative con i creditori e alla predisposizione della relazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano da parte del professionista attentatore.

Si potrà evitare, quindi, il rischio che il tentativo di risanamento sia pregiudicato da iniziative aggressive da parte di quei creditori che tentino di avvantaggiarsi rispetto agli altri con singole azioni esecutive o cautelari.

Il termine entro il quale il debitore dovrà formalizzare la proposta ai creditori sarà fissato dal Giudice e potrà variare da 60 a 120 giorni, prorogabile (con un’eventuale giustificazione) di non oltre 60 giorni. La concreta determinazione del termine dipenderà dalle esigenze del debitore che, però, dovranno essere necessariamente motivate e descritte anche al fine di compararle con l’opposta esigenza dei creditori di ottenere una rapida formulazione della proposta.
Al beneficio sopra descritto non potrà, comunque, essere ammesso l’imprenditore che, nei due anni precedenti, abbia già presentato una domanda di concordato “in bianco” senza che, successivamente, sia intervenuta l’ammissione alla procedura di concordato preventivo o l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti nel frattempo richiesta.

Al fine di evitare utilizzi strumentali della procedura concordataria da parte dell’imprenditore, al solo scopo dilatorio di una dichiarazione di fallimento o per  proseguire l’attività e depauperare l’azienda a danno del ceto creditorio, il legislatore ha previsto obblighi informativi periodici, anche relativi alla gestione finanziaria dell’impresa, che il debitore dovrà assolvere nel periodo che va dalla pubblicazione della domanda di concordato nel Registro delle imprese al decreto di ammissione alla procedura, sino alla scadenza del termine (art. 161, ottavo comma, L. fall.).

Vigilando costantemente sull’andamento dell’attività azienda sarà, infatti, possibile evitare comportamenti che rechino danno al ceto creditorio e valutare la serietà della domanda concordataria.