La morte in campo
Una morte in diretta ma con esiti clinici differiti di circa mezzora o forse più, diventa un dramma dolorosamente allungato e un lutto difficile da elaborare privatamente. Dalle 15,31 di quel maledetto 14 aprile l'immagine di Piermario Morosini, fin li buon manovratore del centrocampo amaranto forse sconosciuto anche agli intenditori di calcio, è rimbalzata da Sky ai display dei cellulari di tutta Italia alimentando inquietudine, forse paura, ma anche curiosità diffusa per un evento così imprevedibile. La certificazione della morte del ragazzo, avvenuta all'Ospedale di Pescara dopo i vani tentativi di rianimarlo, ha ovviamente gettato nello sgomento non solo i tifosi della squadra di Morosini, ma tutti coloro che seguono il calcio con interesse e passione. Siamo peraltro sicuri che se Morosini avesse perso la vita in una battuta di caccia o durante un allenamento personale nei dintorni di Bergamo, la sua morte non sarebbe diventata collettiva e forse non ci sarebbero state pubbliche esequie civili e/o religiose, né petizioni via web per intitolargli una parte dello stadio. Né, come dice giustamente Aldo Grasso, ci sarebbe stata l'ubriacatura televisiva di parole che ne è derivata con i super esperti di defibrillatori e di malattie cardiovascolari che si sono dati la staffetta su ogni canale nelle ore immediatamente successive all'evento con belle cravatte e facce talvolta sorridenti. Ma Morosini è morto in campo, esattamente come può morire un operaio edile su impalcature azzardate, un manutentore nella bocca di un impianto a gas o come sono morti a Livorno recentemente in circostanze ancora misteriose alcuni operai in area portuale nell'indifferenza pressochè generale. Un infortunio sul lavoro, insomma, circondato dalla smodata attenzione dai media, ma aggravato dalle stesse defaillance che normalmente connotano la morte senza storia di un collaboratore di cantiere sconosciuto alle cronache. Quale attenzione per le norme di sicurezza sanitaria da osservare prima, durante e dopo lo svolgimento di una prestazione d'opera, per la prevenzione degli stress psico fisici da sforzo prolungato, per le valutazioni psico attitudinali ad una mansione spesso resa difficile dagli infortuni a catena, per i sistemi di pronto soccorso da coordinare secondo protocolli sanitari vincolanti e le condizioni ambientali e meteorologiche del momento. Tutti interrogativi che devono riguardare chi organizza e recluta il lavoro calcistico, anche se quest'ultimo tende a confondersi con il ricchissimo barnum dell'evento agonistico dove nessuno è quasi mai responsabile di nulla perchè investito di una missione mediatica superiore. Ecco, noi pensiamo che il povero Piermario, ragazzo sensibile e forse vittima di soccorsi tragicamente inadeguati, avrebbe chiesto di approfondire questi aspetti ben oltre i clamori della morte in diretta. Ben oltre le scadenze ravvicinate di un calcio spesso magico, ma impersonale, che oggi chiede per paradosso di riavvolgere il nastro dalle 15,31 di quella tragica partita. Speriamo, in tutta sincerità, nel sincero ricordo di Morosini, che tutto questo non avvenga.