La memoria del Moby Prince, oltre il negoziato di una verità processuale

13.04.2013 20:28

Spesso mi viene fatta una domanda che può far riflettere molto sulla tragedia Moby Prince e sull'ombra che da sempre la copre come vicenda di cui è bene parlare in alcuni termini e non in altri, relegandola nel buio e fermandosi a definirla come un tragico avvenimento del passato. La domanda è la seguente: Perché la vostra associazione prende parola a serate organizzate da associazioni e movimenti che si battono per non far costruire una grande opera e difendono il diritto alla salute? Perché siete stati all'Aquila? Perché andate a Viareggio? Che ci andate a fare ad una serata organizzata sulla sicurezza nei posti di lavoro? Cosa c'entra in tutto questo la moby prince?
La risposta vien da sè se andiamo a guardare alla concretezza della vicenda. Le vittime della moby prince, non mi stancherò mai di ricordarlo, sono anch'esse state uccise in primis da ben precise logiche di profitto che ad oggi continua a colpire con le sue dinamiche di massimizzazione nel più totale disinteresse alla sicurezza individuale e collettiva. Le vittime della moby prince hanno anch'esse dovuto affrontare una seconda morte voluta della legislazione italiana che ha difeso direttamente gli interessi imprenditoriali e che ad oggi continua a farlo in modo ben più che evidente, offendendo la memoria di tanti assassinati (non scordiamoci della ultima sentenza che ha ridotto le condanne ai responsabili della tragedia della Tyssen). E' sempre bene rinfrescare a tutti la memoria e ricordare quindi che la tragedia del moby prince non fu un incidente fortuito ed avvenuto per errore umano, come sentenziò Lamberti, non fu una strage avvenuta per una serie concatenata di complottismi come un certo giornalismo d'impatto vuole far continuare a credere, ma presentò una ben più triste e drammatica realtà, che rende ben visibili i reali responsabili di tutta la vicenda .
Non scordiamoci che 140 persone perirono in un traghetto che viaggiava, per volere diretto dell'armatore Onorato, in condizioni di sicurezza molto precarie, sulle quali non sto a inoltrarmi nuovamente nei particolari ma che sono comunque sempre fondamentali da evidenziare per muovere una accusa; quello stesso armatore che ad oggi continua a far viaggiare le proprie navi nella medesima pessima condizione senza impedimenti di alcun tipo. Accusa generica la mia? Ripensiamo allora al numero di incidenti riscossi da Navarma negli ultimi 20 anni, tutti da attribuire al caso ed alla sfortuna? Una realtà nella quale molte delle vittime furono membri dell'equipaggio e quindi lavoratori marittimi, la più grande tragedia su di un posto di lavoro in Italia, ma su questo si tace e si preferisce ricordare ufficialmente la strage come causata dalla negligenza dell'equipaggio stesso e dall'errore umano, ribaltando così l'accusa. In questo esploit di responsabilità così evidenti leggo ancora con rammarico che si continua a parlare di complotti, di navi americane che scambiavano armi, di scenari sensazionalistici da guerra e di poteri occulti attorno a tutta la vicenda, tenendo così lontana l'attenzione su di alcune delle concrete responsabilità della morte dei nostri familiari. In uno scenario nazionale nel quale si parla continuamente di salvaguardare il mondo dell'impresa e quindi il diretto interesse di padroni d'azienda, leggo di incentivi pubblici e finanziamenti agevolati che difficilmente menzionano la parola "sicurezza". In uno scenario nel quale la giustizia di stato ha una diretta responsabilità nell'avere scagionato la posizione di un armatore senza porlo sul banco degli imputati, leggo di un indennizzo di quasi 150 mila euro affidato alle povere famiglie di due pescatori indiani uccisi da marò italiani, in cambio di un loro silenzio e di una salvaguardia degli interessi commerciali tra due stati a difesa degli interessi di potenti armatori. Storia simile e tristemente nota a noi familiari nel momento in cui la navarma lines tentò di comprare la nostra dignità chiedendo apertamente di non essere parte civile in un eventuale processo. Perdonatemi la rabbia e la concitazione delle  frasi, ma sono ormai stufo di ascoltare tante parole dall’alto di rammarico e di solidarietà, ma nessuna forma di concreta giustizia da ormai ventidue anni. Non ci può far più niente? non è vero. Sono completamente d’accordo con Loris infatti, quando dice chiaramente che si debba tener conto di dover presentare con forza prove inconfutabili, coerenti e reali per riproporre all’attenzione della magistratura la riapertura del caso moby prince. Aldilà della rabbia che ogni anno non smette mai di cessare, sono profondamente felice ed orgoglioso, come ho già ricordato in ricorrenze precedenti, di vedere stringersi attorno alla nostra vicenda ed a simili tragedie sempre più persone che non danno spazio alla rassegnazione ed allo sconforto ma che si uniscono e portano avanti campagne di controinformazione ed iniziative di lotta importanti. Ecco perché ci rechiamo a Viareggio, ecco perché appoggiamo quei movimenti che si schierano in difesa dei diritti individuali e collettivi contro grandi opere, ecco perché è importante che sia nata la famosa associazione delle associazioni. Sono sempre più convinto che le mobilitazioni di base e le battaglie comuni a difesa di una differente idea di giustizia possano portare ad una vittoria contro gli abusi e la sopraffazione. Una idea che non deve individuare la sua esistenza solamente nelle ragioni peculiari del raggiungimento di una giustizia legale, ma che deve scardinare e colpire in totum le dinamiche di massimizzazione d’interessi e profitti, andando ad individuare nel loro crescere indisturbati ed assassini un avversario da sconfiggere per la sicurezza di ogni individuo, affinché ogni piccola vittoria di verità e giustizia diventi davvero il primo passo per bloccare chi continua a rimanere impunito.

 

Giacomo Maria Sini

 

(quando il padre morì nel rogo della Moby Giacomo aveva due anni. Ora lotta da molti anni, con Loris Rispoli, per una verità non di comodo)