Il governo dei territori come antidoto alla tenaglia mediatica dei soliti noti.
Non c'è bisogno di essere dei grillologi per capire che con i successi di Roma e Torino (oltreché Livorno di cui siamo osservatori diretti da ormai due anni e mezzo) il Movimento a Cinque Stelle è entrato forse suo malgrado nella fase di piena maturità. Suo malgrado perché la curva temporale di collegamento fra un'alternativa politica potenziale che sviluppava per lo più passioni e la traiettoria rigorosa di una responsabilità di governo si è prodotta, complice anche il controcanto al governo nazionale di Renzi, in tempi rapidissimi. Oltretutto il Movimento, e questo in pochi fra i grillologi in servizio permanente effettivo lo notano, ha prodotto un duplice effetto sui territori. Quello di prevalere come forza antisistema e dunque di vincere, ma anche di cannibalizzare buona parte delle forze che fin lì avevano recitato un ruolo di onesta opposizione a governi locali sempre più impopolari e legati a consorterie che si perpetuavano sovrapponendosi quasi per inerzia al voto democratico. A Livorno Nogarin ha vinto come noto al ballottaggio, scommettendo sulla crisi di rappresentanza territoriale del Partito Democratico. Una rappresentanza che poi con i mille giorni di Renzi, forse paradossalmente, si è definitivamente dispersa allocandosi per lo più intorno a Confindustria, Cna, pezzi di portualità e garanti di quanto rimane del sistema bancario senese ed aretino, le cui crisi sono state come noto poste a carico in parte agli obbligazionisti subordinati e in parte alla fiscalità generale. Forse la più grave sconfitta, anche in termini previsionali, per il duo Renzi Padoan dopo avere posticipato il pareggio di bilancio al 2019 in una transizione di 1000 giorni senza crescita, con la bomba ad orologeria delle clausole di salvaguardia che quasi sicuramente scoppieranno in mano al governicchio Gentiloni, obbligandolo ad una maxi manovra correttiva dopo la ricapitalizzazione pubblica di una serie di banche che fidelizzavano anzitutto, ma non solo, i territori "del Pd". Verrebbe da dire che Nogarin, magari involontariamente, ha anticipato l'esito del referendum costituzionale del 4 dicembre. Che spaccando una volta di più (almeno a Livorno) l'elettorato reale come una mela, ha proposto, allo stato attuale delle cose, un esito binario. Di qua, la rappresentanza patrimoniale degli interessi consolidati presidiati dal Pd renziano e minacciati dalla crisi fiscale dello Stato e da quella economico-finanziaria del sistema bancario, di là la rappresentanza territoriale dei bisogni compressi dalla crisi economica generale e da un complicato rapporto con la macchina pubblica che fin qui hanno trovato nel Movimento di Grillo un interlocutore dalla forte e onnicomprensiva valenza simbolica. Dopo la sconfitta rumorosa e forse inaspettata del disegno neo centralista di Renzi, che tutto pensava di risolvere con la verticalizzazione dei poteri e la lottizzazione del sistema televisivo e il controllo asfissiante di quello editoriale, oggi pare questo il quadro di riferimento del confronto politico in atto sui territori dove se non altro l'inesperienza inevitabile di alcuni amministratori non condiziona il funzionamento del sistema democratico come accadeva puntualmente in passato. Ma dove prima o poi anche i 5 Stelle, compressi dalla tenaglia revanchista dei poteri economici ed editoriali da establishment, saranno costretti a misurarsi con solide alleanze sociali e civico tematiche per potere sopravvivere al mulinello delle contestazioni penali amplificate dai media e al braccio di ferro con le burocrazie municipali politicamente orientate. Circostanza, quest'ultima, puntualmente verificatisi sia a Livorno che a Roma, dove direttori generali e capi e vice capi di gabinetto hanno instaurato filiere di potere e di relazioni obiettivamente concorrenti con quello/e determinato/e dal voto diretto dai cittadini. Tutto questo mentre si aggrava, peraltro, il debito patrimoniale di Comuni come Roma e Torino, mentre a Livorno la discontinuità di cui parla Nogarin è soprattutto nell'aggressione anche giudiziaria della massa debitoria di controllate e partecipate che il Pd ha utilizzato come ammortizzatore sociale delle crisi industriali prima e, con la sottovalutazione dell'evasione tariffaria, come regolatore della liquidità aziendale delle utenze commerciali e piccolo-industriali. Ma per rientrare dal debito, che si spalma su tutti i cittadini senza differenza alcuna di classe sociale e di appartenenza politica, occorre recuperare i crediti insoluti senza fare macelleria sociale. Un 'operazione complicata che richiede il massimo della trasparenza e il minimo della compromissione con il passato che si vorrebbe cancellare. In una parola, dopo la rapidissima e legittima conquista del consenso maggioritario e trasversale per governare, per il Movimento a Cinque Stelle, se non vuole invecchiare precocemente, è giunto il momento della responsabilità. E dunque della vera rappresentanza territoriale dei bisogni.