Il day after di Livorno
Alla fine l'attacco è arrivato.
Servito sul piatto freddo delle accuse, prevalentemente a mezzo stampa, che hanno riguardato un impasto di inerzia e inadeguatezza della macchina istituzionale dei soccorsi nelle ore antelucane del 10 settembre, quando fra le 02.00 e le 04.00, e poi fra le 04.00 e le 06.00 le condizioni meteo si sono improvvisamente aggravate generando panico, morte e distruzione nell'area collinare, e, forse incredibilmente, fino nei quartieri gioiello della zona stadio. C'è una Procura che indaga da qualche giorno per omicidio e disastro colposi a carico di ignoti. Ma quanto stupisce, del tragico nubifragio di inizio settembre, oltre al doloroso impatto delle vittime, è la pervasività dei danni materiali, per lo più generati dal comune dettaglio dello straripamento dei "piccoli fiumi", che per lungo tempo hanno rappresentato il parente impresentabile della foto che comunemente si fa alla "bella Livorno". Una foto rassicurante che non ha mai tradito chiaroscuri, nè per lungo tempo ha facilitato interventi di contenimento responsabili rispetto all'inesorabile filiera della cementificazione. E che forse anche per questo non ha mai meritato nè inchieste, nè conferenze stampa, nè particolari approfondimenti perchè, in fondo, da una filiera di questo tipo un po' tutti trovano il proprio livello di compensazione. Stampa compresa. Volendo fare un paragone improprio, è come se qualcuno si fosse divertito a scomporre l'improbabile equilibrio del rischio idraulico, basato sui tombamenti o sugli interramenti parziale dei corsi d'acqua,con un colpo di biliardo ben assestato. Il fattore d'innesco di un disastro che ha scompaginato i birilli del tavolo verde, fino a renderli inequivocabilmente complici di un drammatico finale di partita. Dove l'esito degli insediamenti collinari e delle trasformazioni edilizie cittadine ha sfortunatamente incrociato le circostanze di una tempesta quanto meno imprevedibile quanto a violenza e capacità di pressione sul fragile sistema fluviale di una città che fino a qualche settimana prima scontava le conseguenze della siccità mediterranea e del caldo afoso. Poi l'acqua esplode, e quando lo fa, rimbalza sul cemento senza trovare compensazione alcuna nella rete fognaria. Sul tavolo verde i birilli impazziscono e, quando il codice "diventa" rosso, ma inizialmente "non era" rosso, è veramente troppo tardi per poterli raddrizzare e ricomporre con la sola forza della ragione e la fredda perspicacia degli strumenti di prevenzione. Si apre ora la pagina, amara, degli accertamenti peritali, delle inchieste amministrative, dello scontro politico fra Comune e Regione con le rispettive curve mediatiche. Sul banco d'accusa la Protezione Civile del Comune di Livorno, cui però il Sindaco Nogarin ha confermato fiducia, che non avrebbe recepito nella giusta misura gli allarmi sequenziali del centro Meteo della Regione Toscana. Una stazione, quella regionale, che ha comunque faticato ad inquadrare tempestivamente gli effetti cataclismatici del mutamento climatico di quella notte. Un allarme giunto ad evento verificato, quando però, obiettivamente, la catena di comando della macchina comunale è andata in folle, per motivi da chiarire, e intanto, si consumava altrove la drammatica inerzia della distruzione territoriale e delle morti. Si esca dall'incubo con dignità e trasparenza al di là delle inchieste. Lo chiede, magari sommessamente, la città che ha soccorso senza che nessuno glielo avesse chiesto. E che, a brevissimo, si misurerà con il commissariamento alle opere idrauliche del Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, l'uomo che con i fondi statali e regionali dell'emergenza ricostruirà il corso originario dei corsi d'acqua incriminati; Rio Ugione, Rio Ardenza, e soprattutto Rio Maggiore, piccolo fiume noto alle cronache più per le opere di compensazione idraulica che lo hanno inutilmente riguardato che per la sua effettiva costituzione naturale. Un altro colpo di biliardo ben assestato.
Sergio Nieri, Livorno 19 09 2017