I veleni postumi del Limoncino: una brutta storia

19.09.2012 11:46

Va bene che la crisi incattivisce i rapporti sociali e non fa pensare positivo, ma cosi francamente è troppo. La vicenda del (molto presunto) fallimento della ditta Bellabarba fa pensar male, soprattutto in relazione al fatto che l'origine delle situazioni prefallimentari non può essere univoca. Comunque esclusivamente riconducibile al mancato rientro di un cospicuo investimento finanziario. La vicenda tuttora misteriosa del Cantiere F.lli Orlando di Livorno, rimossa dall'intera Città, lo ha drammaticamente dimostrato. Se così fosse dovremmo chiederci (razionalmente) che cosa fosse rimasto in quella azienda così tentacolare della sua vocazione fondamentale (edilizia, riparazioni, movimento terra) e con quale strategia finanziaria fosse stata promossa la diversificazione sulle cave. Non è un caso che la Ditta abbia conferito il ramo aziendale "Ambiente" ad un pool di banche, nel tentativo di "compensare" il mancato investimento. Mentre non è stata in grado, prima di questa decisione, di utilizzare la liquidità a breve delle commesse edilizie, fra cui quella gigantesca di Salviano 2, frantumatasi per l'insolvenza del committente Edilporto, per finanziare la gestione. Non siamo dunque di fronte ad una azienda sottocapitalizzata (tant'è vero che nel corso della sua operatività ne aveva assorbito altre certamente non sconosciute alle Amministrazioni Pubbliche), tanto meno ad attività di nicchia. Seguiamo da tempo immemorabile la navigazione di questo consorzio familiare (dai tempi delle prime varianti collocate tra Montenero e Quercianella -con episodi franosi annessi- e della vicenda legata alla cosiddetta collina artificiale di Banditella che forse per la prima volta saldò il fronte fra ecologisti, sinistra e reti legalitarie) e sappiamo come uno dei principali vettori di successo della ditta fosse la sua plastica saldatura con il sistema. Banche e concessioni amministrative, tutte da una parte. Lo stesso meccanismo di avallo politico istituzionale che con tutta probabilità in questa circostanza è saltato o comunque ha mostrato una storica debolezza. E i lavoratori, che ovviamente non hanno alcuna colpa se non quella di farsi strumentalizzare dalla stampa livornese con argomentazioni vergognose, tipo quella dei mutui familiari (Tirreno e Nazione in primis), ne hanno fatto le spese. Noi sappiamo come sono andate le cose, siamo stati i primi, con un'altra testata, a raccontare la storia decennale del Piano delle Cave (definito pomposamente Atlante). Di quel piano rimangono determinazioni furtive da parte di Comune e Provincia di Livorno e istruttorie talmente complicate e confuse da avere oggettivamente indebolito le stesse procedure autorizzative ambientali. Sulle quali Bellabarba avrebbe legittimamente "surfato", anche in termini di concentrazione finanziaria dell'investimento (qui l'errore), trasformando  la sua concessione estrattiva (non più utilizzabile)  in una opportunità invero molto larga di "recupero" ambientale. Disponendo per questo di una discarica "ambientale" che avrebbe catalizzato e smaltito senza alcun controllo  una impressionante varietà tipologica di rifiuti in una zona caratterizzata da acqua sorgiva e da un serio rischio idrogeologico. Da qui alcune fra le motivazioni del sequestro preventivo di questa e di altre due cave/discarica che insistono nel territorio di Livorno. In questo contesto, certamente complesso, si sono inseriti i morsi della crisi con i suoi fenomeni esogeni. Stretta creditizia compresa. E' finito, probabilmente anche a Livorno, il tempo delle pacche sulle spalle e delle cene luculliane fra amministratori, uffici, direttori di giornale e dirigenti aziendali che molto semplificava delle procedure. E' finito, probabilmente, il tempo in cui bastava avere un buon amico in banca per accumulare fidi e castelletti ben oltre le capacità operative e patrimoniali dell'azienda. E' finito il tempo in cui compatibilità ambientali e cittadini, per la cultura politica e giornalistica di Livorno, tipo quella dei portaborracce di D'Alema che sul Tirreno si divertono a fare conflittualizzare le regole con i "posti di lavoro" avevano la stessa rilevanza di uno scarico di fogna. Rimandiamo alla lettura delle nostre cronache dell'ottobre 2011 (Rubrica "Fatti in dieci giorni) per comprendere come si sono svolti i fatti che determinarono il sequestro preventivo della Discarica del Limoncino e soprattutto quali sono le imputazioni che sono state mosse a funzionari amministrativi e progettisti in questa delicatissima fase dell'inchiesta.