Etica e politica: la svoltina di Grillo (ma i problemi sono altri)
Non sappiamo se il codice di comportamento etico proposto da Grillo e poi votato in Rete sia una cosa veramente impegnativa per gli amministratori a Cinque stelle o più semplicemente un laccio per interrompere o ritardare l'emorragia di credibilità che potrebbe derivare al Movimento dal moltiplicarsi delle inchieste politiche a proprio carico. Certo è paradossale che un Movimento nato per spaccare le elites con la dirompenza della questione morale (a nostra memoria ci pare sia l'unico soggetto politico che chieda ai propri candidati il certificato penale, ovviamente intonso), si trovi poi a elaborare un codice di autodisciplina per i propri indagati. Prevedibile da questo punto di vista sarebbe la "tegola" (così si esprime la tenaglia mediatica dei soliti noti con qualche inserimento sorprendente) che dovrebbe rovinare addosso al sindaco di Roma Virginia Raggi, in relazione alla nomina del fratello di Raffaele Marra (ex vice capo di gabinetto e in carcere dal 16 dicembre per una presunta corruzione risalente a quattro anni prima) a capo di un Dipartimento strategico del del Comune di Roma (il Turismo). L'avviso di garanzia in questo caso, verrebbe emesso dalla Procura di Roma su sollecitazione dell'Anac, che avrebbe attribuito alla Raggi una istruttoria a "quattro mani" del provvedimento di nomina, inficiata come tale da un flagrante conflitto di interessi con la posizione del suo ex vice capo di gabinetto, poi tratto in arresto per la sua "inclinazione naturale a delinquere". Va detto per obiettività e completezza di informazione che le propensioni criminogene di Marra (mai rilevate da alcun organo giudiziario e disciplinare prima del 16 dicembre scorso) non fecero scalpore quando lo stesso alto funzionario si rivolse all'Anac per ottenere a sua volta un parere sulla nomina dell'ex Capo di Gabinetto Raineri, che da parte sua aveva preteso e ottenuto lo stesso inquadramento economico di un magistrato della Corte d'Appello. La Raggi, se le indiscrezioni venissero confermate, potrebbe con il nuovo Codice Etico farsi scudo del fatto che un avviso di garanzia per abuso d'ufficio non comporta alcuna sanzione automatica dal Movimento da cui proviene, e questo è certamente un fatto di civiltà. Sarebbe stato stupefacente il contrario, che cioè la Sindaca dovesse dimettersi per mano della sua organizzazione politica mentre lo Stato cerca di venire faticosamente a capo della sua colpevolezza. Ma può un soggetto politico riservarsi una valutazione definitiva sul comportamento di un proprio amministratore, mentre la giustizia sta facendo lentamente il suo corso? Certamente una riga doveva essere tirata, perchè altrimenti sarebbe risultato inspiegabile che sindaci o assessori loro malgrado plurindagati (come il "nostro "Nogarin) fossero ancora lì al loro posto, mentre altri , come incidentalmente è toccato a Paola Muraro (ex assessore all'ambiente del Comune di Roma), venissero caldamente invitati a rassegnare le proprie dimissioni (anche per via mediatica) per una semplice iscrizione sul registro degli indagati cui solo successivamente ha peraltro fatto seguito la notifica di un avviso di garanzia in relazione ad un presunto reato di natura ambientale. Non va dimenticato poi che un amministratore pubblico locale rischia sempre in proprio, non beneficiando di alcuna forma di immunità, mentre il parlamentare indagato (che con questo status può salire anche al Governo) il conto lo trasferisce al proprio elettorato senza incorrere in alcuna forma sospensione/sanzione personale. Non stupisce insomma che un Movimento politico nazionale con una forte proiezione territoriale (dove l'interpello della Magistratura è ormai un fatto ricorrente quando si tratta di risolvere strumentalmente un conflitto politico) assumesse come regola la presunzione di innocenza dell'amministratore almeno fino alla sua eventuale incriminazione e condanna in primo grado con l'aggravante del comportamento doloso. Per un Movimento che ha fatto dell'onestà in politica una regola d'ingaggio è un passaggio importante anche perché, di riflesso, senza trascendere nell'ormai rituale "fiducia nella Magistratura", è come se si riconoscesse che l'azione penale è comunque obbligatoria, da chiunque venga sollecitata o rimessa, e come tale deve fare il suo corso. Però spesso e volentieri questo lasso di tempo (fino all'avviso di chiusura delle indagini) è esageratamente più lungo dello stress test richiesto dalla politica e dai media ad un amministratore sotto inchiesta mentre è chiamato a rendicontare bilanci pubblici di centinaia di milioni d'euro o controllare aziende in house che muovono fatturati elevatissimi in territori strategici come quello della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti urbani (è il caso dell'Aamps di Livorno). Per questo motivo molti politici ed amministratori negli ultimi tempi hanno fatto inutilmente la fila dai Pm titolari dell'inchiesta penale che li riguardava come indagati, perché venissero ascoltati subito ai fini di uno stralcio dell'inchiesta medesima e/o, nella migliore delle ipotesi, di una eventuale, immediata archiviazione. C'è insomma il concreto rischio che l'amministratore indagato, se non ottiene la neutralizzazione o un esito tempestivo dell'inchiesta che lo riguarda, venga politicamente delegittimato, e che questa circostanza possa influenzare in qualche modo il giudizio formale e sostanziale dei propri atti da parti di organi di revisione contabile e/o della stessa Anac, che per il fatto di rispondere a un organo politico come la Presidenza del Consiglio, non presenta a nostro giudizio caratteristiche di sufficiente terzietà per potere sindacare sulla legittimità delle nomine pubbliche o sulla concessione dei pubblici appalti.