Buonanotte Livorno: tempi e modi di fuga dal congelatore sociale
Immaginare un'alternativa al governo tradizionale di Livorno è sempre stata una impresa da ricercatori. Probabilmente tanta parte di quelle risorse intellettuali ed operative che a Livorno hanno da molti anni giocato un ruolo tutto sommato marginale o comunque transitorio, da altre parti, in altri contesti, avrebbero proposto, discusso, realizzato progetti di pubblica utilità con ben altra soggettività e forza d'urto. Forse al punto tale di fare la differenza in contesti di ampia mutevolezza, ma con significativi margini di dialettica nonostante o in virtù dell'effetto concorrente della crisi. Il dramma di questa realtà, che comunque conserva un suo fascino bohemienne nonostante il diffuso conformismo da supermarket della politica (si veda la patetica rincorsa di molti cinquantenni del Pd al rottamatore Renzi), è che i venti della crisi non hanno determinato alcuna crisi della municipalità in quanto tale, ma solo fenomeni di opposizione territoriale agitati da qualche soggetto civico non estemporaneo, da forze residuali della sinistra e da espressioni di testimonianza sociale meritoriamente "drammatizzate" dai giovani del "progetto reddito". Questi ultimi, forse al di là delle proprie intenzioni, hanno avuto il merito di evidenziare le contraddizioni dell'ultimo,grande strumento rimasto in mano all'autonomia municipale, cioè quello della programmazione urbanistica. Che, specie negli ultimi anni, ha generato la stagione della collaborazione con la proprietà fondiaria senza riceverne alcun beneficio. Da questo patto, che nel corso degli anni ha assunto varie coloriture, sono scaturiti errori ed orrori che hanno profondamente inciso nel DNA della popolazione "media" (oggi alle prese con la rinegoziazione dei mutui nella coda della grande stagione dell'edilizia agevolata e/o con i ripetuti fallimenti finanziari dei soggetti costruttori convenzionati con l'amministrazione comunale nei grandi piani di lottizzazione privata inaugurati dall'ultimo Piano Regolatore). Gli errori hanno ovviamente riguardato anche il consumo spregiudicato del suolo nel corso di questi ultimi vent'anni e, contestualmente, una sorta di disperata corsa alla "tranquillità sociale" da parte dei soggetti che hanno forzatamente contratto vincoli trentennali col sistema bancario. Ne è scaturita una reinterpretazione complessiva del livello di socialità e conseguentemente il crollo della massa critica della popolazione. La televisione dei talk show ("hanno detto da Santoro, da Floris, da Paragone"), la fuga molto individuale e forse notturna nei social network (dove un po' tutti diventano tribuni per non poterlo essere o diventare l'indomani mattina), il pettine conformista e riparatore di due pessimi fogli quotidiani come Il Tirreno e La Nazione (stabilizzatori delle caste locali), hanno ovviamente fatto il resto. Mantenendo la città in una sorta di galleggiamento atemporale, che solo il Pds, Ds, Pd ha saputo declinare alla perfezione. Offrendo sempre margini protetti per la canalizzazione del consenso, come quando l'attuazione dei grandi patti urbanistici periferici di edilizia convenzionata veniva preventivamente (e forse segretamente) spiegata dall'Assessore di turno nelle sezioni di partito ancor prima di essere delibata nelle assemblee elettive. Attenzione, siamo ben oltre il vecchio clichè dell'assegnazione delle case popolari. In questo caso la Municipalità agiva per redistribuire reddito attraverso il patrimonio residenziale pubblico (la cui dinamica costruttiva si è fermata all'inizio degli anni 90); qui invece la Municipalità agisce come fiduciaria di un contractor privato, per quanto collettivo, cui affida la costruzione delle opere di urbanizzazione dietro la prestazione di una garanzia fideiussoria difficilmente monitorabile. E su questa base chiede "la collaborazione dei cittadini" che abbiano deciso di acquisire casa attraverso la sottoscrizione di onerose promesse di vendita; contratti tecnicamente non impegnativi per il Comune al punto tale che, di fronte ad una ipotesi di fallimento aziendale dell'impresa o della cooperativa di costruzione in qualche misura vicine all'Amministrazione, l'Ente Pubblico ha sempre avuto gioco facile nell'affermare: "è una questione fra privati" sciogliendosi preventivamente da ogni plausibile responsabilità. E' in questo quadro che, nonostante l'evolversi dei format dell'edilizia collettiva fino all'ultimo business dell'edilizia sociale di mercato, si è stabilito su piazza un inedito patto urbanistico che lega insieme trasversalmente categorie e soggetti molto diversi tra loro e attribuisce ai soggetti attuatori un enorme potere dispositivo e di condizionamento sui piani regolatori. E questa, fra le altre, una sorta di "stabilizzazione territoriale", una specie di grande congelatore sociale da cui si può uscire seguendo due filoni; quello virtuale, che alimenta una concezione visionaria della realtà ed aggancia "le discussioni" sui social network e quello civico, che sui limiti strutturali della realtà costruisce processi di accertamento delle responsabilità. Vedremo nel prossimo intervento come ce ne sia un terzo, e cioè l'apparente rinnovamento della classe dirigente del partito di maggioranza relativa. Un passaggio apparente insignificante, ma di grande valore amniotico e mediatico.